Antonio Sorbello
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La visione immaginale, fare anima, psicologia archetipica
In un luogo e in un tempo non definiti nasce la visione immaginale. Difatti essa appartiene a tutte le tradizioni spirituali dei popoli, alle loro culture ancestrali e animiste, come anche alla più occidentale e moderna psicologia analitica di C.G. Jung, rielaborata poi in psicologia archetipica dallo psicoanalista, saggista e filosofo James Hillman. L’immaginale è “fare anima senza diagnosi”.
James Hillman è stato un filosofo, saggista e psicoanalista le cui idee hanno trovato seguito non solo tra chi si occupa di psicologia o di psicoterapia ma anche tra artisti e scrittori proprio perché il suo pensiero si focalizza su due aspetti della psiche umana, l’anima e l’immaginazione. Parlare di “anima” non significa parlare di un elemento concreto o di una sostanza, ci dice Hillman, ma è riferirsi a una prospettiva, a un atteggiamento, a una ‘visuale sulle cose’ che ci permette di dare significato agli eventi, che a loro volta avranno un determinato effetto su di noi. L’idea di fondo è che l’anima si esprima attraverso le immagini dell’inconscio collettivo, gli archetipi, e sia fortemente connessa al mito attraverso cui si manifesta mentre l’immaginazione diventa strumento di lavoro analitico.
Il primo a usare il termine “mundus imaginalis” fu Henry Corbin, uno tra i massimi orientalisti del Novecento, filosofo e storico delle religioni. La sua opera ha esercitato un’influenza profonda ben oltre il confine degli studi specialistici e le sue opere hanno favorito il dialogo tra le diverse culture e, soprattutto, tra Occidente e Oriente. Consapevole della confusione insita nella parola italiana e nella sua storia, Corbin ha cercato di sostituire il termine “immaginazione” con il termine “immaginale”. L’immaginazione quindi non è soltanto una funzione del pensiero ma il luogo di incontro della realtà esterna, concreta e tangibile, con la realtà interna, invisibile e intangibile.
L’espressione “fare anima” è presa a sua volta in prestito dal poeta John Keats che in una lettera al fratello scrive: “Chiamate, vi prego, il mondo la valle del fare anima, allora scoprirete a che serve il mondo”. Si crea così un meraviglioso ponte tra oriente e occidente che ci permette di utilizzare pratiche millenarie e integrarle al nostro retroterra culturale che nasce nell’antica Grecia, quella mitica, mitologica, che ci racconta le gesta di dei e dee. Ne consegue che la visione immaginale non è una terapia alternativa ma è l’alternativa alla terapia; è un approccio non-terapeutico che pone al centro l’esperienza estetica come grande alternativa all’esperienza anestetica delle terapie. Il paradigma terapeutico è, infatti, al centro dell’esperienza materialistica del mondo.
Il sentimento centrale della visione immaginale ci rivela che la realtà è immagine, sogno, proiezione. La realtà oggettiva e il materialismo sono il frutto di una ipnosi dalla quale bisogna risvegliarsi. Questo risveglio è chiamato in psicoanalisi ritiro delle proiezioni mentre nelle tradizioni spirituali esoteriche viene denominato “riassorbimento del reale”. Tutto ciò ci riporta alla mente poetica per riprendere il dialogo con la nostra anima che si esprime per immagini ed emozioni. Una mente che include e non giudica, che ritorna al pensiero delle origini a quello che Hillman chiama “pensiero del cuore”. portarci fuori dalla gabbia mentale dell' io per ricollegarci alla nostra parte più autentica che è il Sé, la nostra anima.
James Hillman parla di anima
Selene Calloni Williams
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